September 2019, Italy
Nel Prato Azzurro Del Cielo
Museo Parisi Valle, Maccagno, Varese
Le amiche del cielo
Tre donne guardano il cielo, ognuna con occhi diversi, anzi lo immaginano, prima di guardarlo, lo interiorizzano, lo scompongono in mille sensazioni per poi regalarlo a noi osservatori passivi, quasi sempre dimentichi del potere taumaturgico della natura e dell’aria, impegnati invece in gare con noi stessi senza fine e fini, a testa bassa, orfani del volo del gabbiano.
Marit, Helen e Daniela hanno deciso di raccontare il loro sogno, e renderci partecipi di ciò che gli occhi e la mente hanno trasmesso loro a contatto con il prato, il bosco, il mare e il fiume, l’orizzonte e un cielo senza confini, perché libero dalle nubi del dubbio e del dolore, ma ricco della forza degli elementi, capaci di stravolgerlo o placarlo. Siamo tutti come la luna-primula della poesia di Antonia Pozzi, stupiti e soli «nel prato azzurro del cielo», ma le tre artiste ci insegnano che amando la natura non siamo mai soli, perché attraverso di essa amiamo noi stessi.
Per essere artisti occorre ripensare lo scorrere del tempo, abbandonarsi al guizzo del pensiero, a ciò che la memoria suggerisce all’improvviso e gli occhi hanno restituito alle mani, così Marit, Helen e Daniela, nel tempo lento di una vacanza, o di una nuova vita più lontana dal lavoro, si sono fatte amico il cielo, a diverse latitudini, non soltanto geografiche. La Frisia dei blu e degli arancioni, la brughiera dell’alta Inghilterra, dove il cielo sembra non finire mai, l’anima tormentata di Antonia Pozzi, che la natura l’aveva dentro, tanto da morirne.
È più selvaggia la natura che Helen ha amato fin da bambina, nelle highlands del Lancashire, il cielo può essere a volte nemico, cupo di tempesta, basso e incombente come un’ala di corvo, ma capace poi di donare arcobaleni e gemme blu cobalto screziate dall’oro del sole. È la terra appena ondulata che vide i passi di Emily Brontë, e una sua frase, «Hush! A rustling wings stirs, mathinks, the air («Silenzio, l’ala che fluttua, penso all’aria…») fa da preludio alle grandi tele di Helen, in cui predomina il silenzio di una natura a volte addormentata nel gelo invernale, altre corrusca e dominata dal nereggiare delle nuvole, perché la brughiera «è aspra, ostile e infinita, ma allo stesso tempo così pervasiva». La parola sfugge al controllo dei sensi e si fa libro, nelle ceramiche raku nelle quali le pagine sembrano nascere dai rami del nocciolo, contorti e riccioluti, a mostrare come la natura sia scultrice di sé stessa.
«Prossimi alla mia casa ci sono due larici, me li vedo davanti agli occhi ogni mattina e con loro seguo le stagioni; i loro rami quando il vento li muove accarezzano il tetto», scrive Mario Rigoni Stern nel suo “Arboreto salvatico”, e ricorda come gli alberi, quando gli uomini vivevano dentro la natura, fossero il tramite di comunicazione della terra con il cielo e del cielo con la terra.
Marit, Helen e Daniela seguono le leggi del silenzio e di una creativa solitudine per arrivare a raggiungere «la propria umanità allo stato puro», che è quella perfettamente consonante alle leggi della natura e del cosmo. Alzano lo sguardo e nutrono i loro occhi e l’anima con gli stessi colori inventati all’alba del mondo che, forse, ognuno ha ancora dentro di sé, senza però trovare la chiave per aprirne lo scrigno.
Mario Chiodetti, LA PREALPINA 2019
Press
September 2010, Italy
Philosophy of Matter
Solo Exhibition organized by Art Events (Contemporary Art)
Città Alta Begamo
Presenze rarefatte compaiono, passando silenziose, sulle tele di Helen Mitchell. Forme in tensione illuminate dal
colore steso finemente con tenui passaggi chiaroscurali che rendono l’opera quasi monocromatica.
L’artista riesce a rendere tangibile e visibile l’atmosfera, trasferendola della sfera concettuale al mondo fenomenico,
pur mantenendone il senso di inconsistenza ed evanescenza. Lampi di luce percorrono le sottili linee evidenziando
l’espansione delle forme che sembrano allungarsi come elastici verso l’infinito, suscitando l’effetto di un movimento
continuo e lento. Gli ‘Ambience’ di Helen Mitchell rappresentano la vita, la natura e il tempo.
Descrivono, con la loro studiata astrazione, la mente e l’anima dell’uomo, la forza vitale e misteriosa del cosmo e
la ciclicità temporale. Sono opere in cui le forme si compongono sulla tela con meditazione e spontaneità al contempo, disponendosi armoniosamente e dialogando tra loro in un continuo rimando tra materia, spirito ed emozione. La passione è calibrata e incanalata in una sottile riflessione in grado di esprimere e raffigurare le parti invisibili dell’universo. Helen Mitchell possiede la capacità di sfumare con sensibilità il mondo raffigurandolo privo di definizioni e contorni, restituendolo al nostro sguardo in una dimensione volatile e profonda, come entità aerea e pura. Riesce a trasferire nella materia pittorica ciò che è astratto pensiero, rendendolo visibile e corporeo.
October 2010, Italy
Francesca Baccala, Bergamo
LIVING – The journalist is NICOLETTA ROMANO in the year 2010
April – May 2009
Rebellious Waste - collective
Sala Veratti, Varese, Italy
Un trittico ricco di risonanze interiori, che scorrono in un flusso vitale continuo senza inizio e senza fine: in eterno divenire, dunque, la storia personale che si avvale di tasselli fotografici, di impronte segniche, di frammenti di oggetti del quotidiano, sottratti alla distruzione e all’oblio.
Piccole tracce del passato, cercate e ritrovate, che scandiscono il ritmo di una vita che porta con sé, in ogni momento, la memoria di donna e d’artista, quale è Helen Claire Mitchell.
Nasce come una nuova scrittura, dove il segno diventa colore e materia, dove lo strappo diventa immagine di inquieta carica psicologica, dove la macchia copre e parzialmente cancella, dove il tessuto sfibrato svela arcana mappe, in un confronto serrato tra passato e presente, in una sfida pressante con il tempo foriero di nuove visioni e avventure.
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Il racconto si snoda in un percorso che è pittura e scultura contemporaneamente, perché la forma diventa volume, alternanza di pieni e di vuoti, di ritmi e contrappunti sempre melodici e poetici.
Emozioni mai caotiche o scomposte perché nell’opera ogni particella trova la sua collocazione unitaria e ordinata in quella scansione diagonale che, collegando idealmente le tre partiture verticali, diventa simbolo di un’identità che si riconferma tale nelle esperienze e nei confronti , nei tempi, negli spazi e negli spazi e nelle sfide che il destino cela a ognuno di noi.
Luciana Schiroli
2007
Grande grande grande
Villa Recalcati, Varese
Art Curator: Fabrizia Buzio Negri
2006
90 anni di storia e attualità
February 2005,
When art is woman
Helen Claire Mitchell ha fatto del ritratto una tavola cosmologica, percorso da frustate di vento e da brucianti arsure, un discorso che riconduce l’essere umano all’elemento biologico, al perenne ciclo di morte e rinascita, al continuo rinnovarsi della materia. Un pathos cosmico anima la figurazione che si pone, a guisa di albero, tra terra e cielo, in un protendersi verso le sfere più alte e leggere dello spirito.
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Luciana Schiroli
December 2003
De Rerum Natura
Helen Claire Mitchell a guisa sibilla, si lascia intridere delle forze sotterranee del cosmos; le sue pennellate altro non sono che il grafico di una vitalità sconfinata che va oltre, oltre le barriere e i condizionamenti.
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Luciana Schiroli
June 2002
Segni del tempo
E la natura la grande ispiratrice di Helen Claire Mitchell, che non a caso vive tra i boschi di Castello Cabiaglio, dove le antiche case e i celati cortile custodiscono l’autentico valore della vita, lontano dai frastuoni e dagli stridenti rumori della città troppo convulsa.
Pini, abete, larici e castagni si lasciano docilmente ricoprire dal manto nevoso mentre gli arbusti si illuminano dei gialli delle forsizie a primi tepori primaverili; e se il passo è lento e cauto, lo sguardo è avido di forme e di colore.
Basta una visione per riempire il cuore e per farlo palpitare di emozione forti e robuste: il verde è intenso e le ombre sono scure e cupe sui pendii di una montagna ancora intatta, percossa dai venti e dalle acque.
Grandi spazi per grandi campiture di colore, per progressioni prospettiche che si dilatano a vista d’occhio, che si allargano fuori dagli stretti confini della tela.
Nei piani ravvicinati le sferzate dei pastelli muovono la massa cromatica che diventa viva e vitale sotto il veloce gesto dell’artista che alterna verdi, blu, gialli, rossi in un concitato e vibrante gioco segnico. Non più le grandi distese tutte bianche di qualche anno addietro, quando a dominare erano i paesaggi glaciali e nevosi, interrotti da processioni di alberi neri, o dominati dal luminoso disco lunare.
Come allora, grandi silenzi e grandi spazi, come allora la forte carica espressiva del segno. Ma se allora, era il bagliore del bianco a liberare le immagini più profonde della memoria che si svelava quasi per incantamento, oggi è il colore a dominare la visione: i verdoni, i gialli-ocra, i rossi-arancio sono li sulla tavolozza di Helen Mitchell per divenire movimento, flusso naturale, energia. Ma all’aspetto solare si associa la meditazione silenziosa, quella fatta dai segni e dagli interventi blu: una partecipazione più interiore e profonda al mistero cosmico, nel quale la stessa artista sembra volersi annullare.
E con uno stupore quasi primitivo, è sempre Helen Mitchell ad addentrarsi nei grovigli dei nodi arborei, negli intrecci di rami, nelle fenditure: forme straordinarie, imprevedibili, sempre nuove sono queste che la natura offre allo sguardo di chi la vuole scoprire a fondo. Qui è la matita o il carboncino o la china a tracciare il segno rapido e guizzante, senza inizio e senza fine: sono questi gli studi ravvicinati, ora veloce e frenetici, ora lenti e silenziosi. Pochi tratti, pochi segni, poche linee, poche tocchi di colore per evidenziare un piccolissimo anfratto, una leggera piega del ramo, una rimarginata piaga del tronco. Una natura che ha affrontato stagioni calde e fredde, geli e ardor, lesioni e bruciature, scrosci d’acqua e percosse di vento, una natura saggia, che sa trasmettere con le sue rughe una lezione di vita anche agli uomini.
Nei segni che si sovrappongono netti e sicuri si legge la partecipazione emotiva dell’artista, che scopre i ritmi imprevedibili della natura, ora morbidi o rotondi ora lineari e taglienti. E quando il pastello colorato interviene a delimitare una zona particolare, quale può essere un’abrasione o una cavità, si legge la volontà di ridare la linfa vitale, di fermare il processo di decomposizione e il disfacimento totale della materia. Sono proprio questi studi poveri di sostanza pittorica a risultare più densi di significato e di interesse; e col pastello e col segno, si realizza il recupero di quel legame tra natura e uomo, spesso spezzato o interrotto.
Ed è il di-segno a diventare la via della salvezza alla banalità, all’omologazione imperante e azzerante: il disegno riallaccia un antico rapporto, ristabilisce l’originaria armonia. Piccoli e grandi fogli per l’album della natura; pagine bianche su cui Helen lascia la traccia dell’ordine delle cose. Fogli che respirano di tanto bianco, perché lo spazio è infinito, senza limiti di sorta.
Anche l’essere umano ha sempre offerto ad Helen motivo di analisi e di riflessione: famosi sono i ‘ritratti’ di uomini, donne, bambini fermati velocemente sulla carta nel corso di lontane esplorazioni.
Ebbene, anche quando ritrae i volti in particolare, Helen indaga i solchi, leggeri o profondi, che tratteggiano o solcano la pelle, quasi a voler penetrare nel più profondo, o meglio quasi per far uscire quel profondo che si è sedimentato per anni, decenni, stagioni.
Identico è l’atteggiamento dell’artista sia che si trovi di fronte a un albero o a un essere umano: due presenze importanti dell’universo. Solo ritraendole vengono fissate per l’eternità Solo cosi Helen supera la barriera del tempo e per un attimo non c’è né spazio né tempo; tutto è uno, come all’origine della vita.
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Luciana Schiroli
March 2003
Arteinfiera, International Fair Hall
Casale Monferrato, Alessandria
2006
Tema libero
Art curator FABRIZIA BUZIO NEGRI